Michela Lucenti e Maurizio Camilli portano in scena il testo di Steven Berkoff ispirato a Shakespeare, con danze di potentissima corporalità. Visto per voi in anteprima nazionale a Parma
di Sergio Buttiglieri
Fotografie di Daniela Neri
Quest’ultimo lavoro di Michela Lucenti e Maurizio Camilli ha un inizio folgorante: Amleto vestito da fabbro che scaraventa a terra con enorme frastuono, ai piedi di Ofelia, quattro lastre di pesante lamiera. Ofelia, prima immobile, vestita in lungo, coloratissima, percorrerà i sentieri che l’instancabile Amleto le suggerirà risistemando le lastre davanti a lei, quasi fossero una passatoia. Un degno red carpet per il plot più cliccato della letteratura shakespeariana.
Lo sfondo è tutto occupato da un’enorme pelle di animale dal sapore omerico che sovrasta e in parte nasconde il talamo nuziale a baldacchino. Le restanti pareti sono rivestite di ruvide lamiere in parte srotolate, come lentamente srotolate saranno le passioni impossibili dei due. A un certo punto Amleto, il convincente Maurizio Camilli, una sorta di tenebroso e atletico Nick Cave del teatro danza, impastando la voce in uno dei tanti microfoni sospesi per la scena, le declama il suo amore. Ofelia, la strepitosa Michela Lucenti, lo ascolta fumando e con un gesto intimo gli passa la sigaretta, come in un film americano degli anni ’30. Per poi iniziare una danza d’amore intrisa di potente e viscerale corporalità, così come da sempre ci hanno abituato questi performer memori di Pina Bausch, nei cui spettacoli il teatro è danza e viceversa.
Il linguaggio alto del bardo di Avon si amalgama molto bene a questa modalità espressiva fatta di sudore e passione, associata a musiche alla Nyman che ritmano le pulsioni dei due. Ofelia che rotea sospesa a lui - che ha appena indossato un cappottone alla Cechov (perché c’è tanto Cechov nella figura di Amleto: da Ivanov a Costantino a zio Vania) - come una cerbiatta impaurita sospesa ad una bestia feroce, è una delle tante scansioni gestuali che questo nuovo intenso lavoro del Balletto Civile ci regala alla sua prima nazionale, nella stagione del Teatro due di Parma.
Steven Berkoff, cane sciolto ed esponente iconoclasta della controcultura teatrale fringe londinese degli anni ‘70, in questo suo Epistolario segreto tra Amleto e Ofelia da cui è tratto lo spettacolo, ci restituisce una serie di sfumature psicologiche del loro rapporto ad alta densità emozionale: "Detesto questo mondo che ci separa - ci dice Ofelia - io invidio la moglie del fattore, in cui nulla li divide, tu invece non puoi niente, non puoi darmi neanche un bacio rubato".
Ma di momenti che si imprimono nella nostra memoria, in cui la danza è protagonista, ce ne sono tanti altri: come quando Amleto solleva Ofelia trasformandola in un fantasmagorico vessillo che sembra uscito dal film Ran di Akira Kurosawa. O come quando Ofelia declama a testa in giù parole struggenti ad Amleto, quasi fosse Euridice con Orfeo. In fondo i due, ci ricorda Berkoff, sanno che gli altri arrivano ad odiare l’amore perché incapaci di vivere.
Ofelia dopotutto è la vera anima di Amleto. Ha patito il suo dolore mentre lui lo fingeva. E’ impazzita mentre lui fingeva la pazzia. Si è suicidata mentre lui ne parlava solamente. In fondo lei non aveva altri interlocutori che Amleto stesso. Ofelia è lo specchio di come il mondo con la sua violenza, crudeltà e menzogna possa far diventare pazzi. Perché, come dice bene Nadia Fusini nel suo ultimo meraviglioso libro su Shakespeare, Di vita si muore, si può diventare pazzi se nessuno raccoglie i nostri sentimenti, se questi vengono distorti, misconosciuti, negati.
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L'amore segreto di Ofelia, da Steven Berkoff, traduzione di Adele D’Arcangelo
Visto: in prima nazionale al Teatro Due di Parma
Prossimamente in scena: l'11 dicembre a Mira (Venezia); il 28 gennaio a Rubiera (Modena); l'1/4 a Genova, Teatro Akropolis; il 16/4 a Vicenza, nel Ridotto del Teatro Comunale
Produzione: Balletto Civile/Fondazione Teatro Due e Pier Francesco Pisani
Disegno luci: Pasquale Mari
Spazio scenico: Alberto Favretto
Andrea Porcheddu a proposito di Michela Lucenti: "Se fosse stata in Francia avrebbe già avuto la direzione di un qualche Centre Coreografique, se fosse stata tedesca avrebbe potuto ereditare la Schaub&uulm;hne da Sasha Waltz, e certo avrebbe firmato opere e balletti per i maggiori teatri lirici. E invece ha scelto (anche dicendo un fragoroso 'no' a Pina Bausch che la voleva in compagnia) di lavorare in Italia”
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