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FILM

Toni Servillo fa buon viso a cattivo gioco

Ragioniere al carcere di Napoli, ogni sera perde al tavolo i soldi che ha rubato dalla cassa. Finché non sceglie di puntare tutto sull'amore per Lila. La regia è di Stefano Incerti, la sceneggiatura dello scrittore Diego De Silva, ma Gorbaciof si regge soprattutto su una straordinaria prova d'attore


di Marinella Doriguzzi Bozzo


Insomma, non c’è niente da fare: pur non essendo degli sfegatati fanclubbisti da curva sud, già dal primo fotogramma in cui Toni Servillo compare si comprende che il film è lui.
Spavaldo e consuntamente aitante, in un completo uguale dall’inizio alla fine e che lascia presupporre esercizi fisici e cattivo cibo, il sesso canino libero sotto i pantaloni, le gambe arcuate e i capelli piatti di brillantina: Marino Pacileo, alias Gorbaciof (dalla voglia di vino sulla fronte), trasuda disincanto e solitudine.
 
Siamo dalle parti di Le conseguenze dell’amore, di Paolo Sorrentino. E non solo per la centralità del personaggio - quasi gelido e quasi muto, eppure capace di inaspettate delicatezze sentimentali. Ma pure per la colorazione della pellicola, giocata tra i rossi sospesi e i verdi inquinati della pittura di Edward Hopper (che ultimamente si porta moltissimo), ma ahimé priva di quei giochi continui di geometrie sfalsate che contribuivano a dare all’ambientazione di Sorrentino un ineguagliabile fascino. 
 
Del resto non siamo in Svizzera, ma nella Napoli di Diego De Silva, sceneggiatore del film, con contorno di ammiccamenti, illegalità più o meno veniali, coinvolgimenti eterodossi tra liberi professionisti e malaffare.
 
La trama è presto raccontata. Gorbaciof è un cassiere, meglio un ”ragioniere di carcere”, con il vizio del gioco. Sottrae, inizialmente in prestito, soldi all'ente, per poi rifonderli in caso di vincita. Ma si sa che i giocatori perdono quasi sempre, è il fascino dello scacco travestito da speranza. Sicché ad un certo punto è costretto a piegarsi sempre un po’ di più, affondando poco per volta in un torbido gioco, meschino e pericoloso, patrocinato su più fronti da figure che dovrebbero viceversa assicurare la giustizia. Fino a che l’amore non interviene, facendo dell'ambiguo protagonista un campione di fierezza e di abnegazione a protezione dell’amata: una giovane e incantevole asiatica, che il padre ristoratore e biscazziere rischia di giocarsi a poker, per le brame dei più. E già si intuisce come va a finire.
 
gorbaciof_lila.jpgMale, malissimo, e non solo nel senso della storia. Perché a partire dal sessantesimo minuto il film comincia ad annaspare vistosamente, con una vistosa fretta di chiudere. Tanto, sembra sottintendere il regista, Servillo-Pacileo-Gorbaciof, quello che poteva dare ormai l’ha dato, chi s'è visto s'è visto, lo scambino pure per un cortometraggio. 
Quindi, mentre gli occhi di lui si chiudono per sempre e il sangue invade il frusto completo principe di Galles (per la gloria delle tintorie), i finestroni lacrimosi dell’immancabile aeroporto riflettono la figura di lei che aspetta invano. Trasformando la sua orientale enigmaticità , rafforzata dalla non padronanza dell'italiano (un contrappunto affascinante alla laconicità di lui) in una scialba pubblicità da involtini primavera. 
 
Stefano Incerti, il regista, è del '65 ed ha una lunga filmografia alle spalle. La gestazione di quest'ultimo film ha titubato per parecchi anni, e questo potrebbe spiegarne l'assenza di compattezza. Tuttavia il talento direttivo rimane, e si esplica anche nella capacità di immergere la pellicola in una vischiosità di umori animali e razziali di ogni genere, in grado di restituirci l'umanità che si vuole rappresentare con grande immediatezza. Quella che latita è la sceneggiatura, che, individuati il personaggio e la storia, poteva fare di più, visto che De Silva (almeno nei suoi libri) non è solo un sottile umorista dall'intercalare scrittorio inconfondibile, ma anche un felice inventore di incidenti, come di sfondi e di individualità singolari. Qui probabilmente non riesce a trascendere il suo principale protagonista, l'avvocato Malinconico di Non avevo capito niente e del recentissimo Mia suocera beve.
 
Il film meriterebbe il giudizio di tre soli per l'interpretazione sia fisica che psicologica di Servillo, due per la regia, la fotografia e il cast, un sole ombrellato per la sceneggiatura. E' quindi d'obbligo il ricorso ad un media non matematica: ma andate a vederlo, se non altro per Lui.



Tags: Diego De Silva, Gorbaciof, Marinella Doriguzzi Bozzo, Mia suocera beve, napoli, Non avevo capito niente, paolo sorrentino, recensione, Stefano incerti, toni servillo,
20 Ottobre 2010

Oggetto recensito:

Gorbaciof, di Stefano Incerti, Italia 2010, 85 M.

giudizio:



7.218
Media: 7.2 (5 voti)

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