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MUSICA JAZZ

Franco D'Andrea, il jazz più innovativo ha settant'anni

Nel caotico e sovraffollato panorama odierno, il vecchio maestro del pianoforte sa ancora come dare la rotta. Il nuovo album del suo quartetto, Sorapis, mette insieme tradizione e avanguardia riuscendo a suonare al tempo stesso destabilizzante e rassicurante


di Marco Buttafuoco

 


francodandrea.jpgMolti appassionati di jazz vivono questi anni con un certo senso di disorientamento. Certo, l’offerta è ricca, fin quasi debordante e mai forse la musica afro-americana è stata tanto praticata. Ogni anno solo in Italia escono centinaia di dischi. I festival, pur in presenza di una feroce crisi economica, continuano ad essere programmati un po’ dappertutto. Tempi felici, all’apparenza. In realtà il panorama musicale è abbastanza piatto. Proposte artistiche nuove ce ne sono davvero poche e nella produzione discografica predomina un mainstream che rischia di sconfinare nel manierismo. I festival propongono di solito gli stessi nomi: molti di questi nomi si muovono su un terreno musicale nel quale il jazz è spesso solo uno dei tanti linguaggi che si possono utilizzare.
 
In altre parole il jazz davvero innovativo e interessante è merce rara. E spesso a praticarlo non sono le giovani generazioni ma anziani maestri, come Franco D’Andrea. Il pianista di Merano, che ha compiuto settant’anni da pochi giorni e a gennaio è stato eletto Musicista europeo dell’anno 2010 da parte dell’Académie du Jazz de France, in questi giorni ha pubblicato il suo ultimo disco in quartetto. Ad affiancarlo i fidati Zeno de Rossi (batteria), Andrea Ayassot (sax alto e soprano di personalità e originalità straordinarie), Aldo Mella (contrabbasso). Se un recente film non avesse colorato sinistramente questo termine potremmo definire questo cd un gioiellino. 
 
Sorapis (il titolo prende il nome da un lago dolomitico) riesce infatti a tenere desta l’attenzione dell’ ascoltatore per tutti i cinquantasei minuti della sua durata, sia nelle lunghe suite improvvisate firmate da tutti e quattro i componenti del gruppo, sia nei brani più “tradizionali” come The single petal of Rose (a firma Duke Ellington), Winterpromenade, New Calypso, Latin Sketch o lo stesso Sorapis (questi tutti dovuti alla penna di D’Andrea).
 
Il disco è intessuto tanto di raffinato sperimentalismo quanto di un lirismo accentuato. Canto e astrazione, atmosfere ora sulfuree (penso alla splendida improvvisazione di Treeble and bass) ora teneramente ironiche. Le otto tracce propongono in continuazione sentieri nuovi e situazioni inattese nelle quali, come in tutta la produzione di D’Andrea, si sente tanto il jazz delle origini quanto l’avanguardia. Il quartetto, tuttavia, non scade mai nel puro collage: la sintesi finale è un suono originale e inedito.
 
D’Andrea voleva una musica che fosse allo stesso tempo “misteriosa e stravagante “. Il risultato è stato pienamente raggiunto e Sorapis restituisce finalmente, allo spaesato ascoltatore di cui si diceva all’ inizio, il senso di un’arte, il jazz, che per natura e definizione deve essere destabilizzante, far mancare il terreno sotto i piedi a chi la pratica e la ama. Il jazz vero, musica del diavolo come il blues suo progenitore, è quindi, per fortuna ancora vivo.



Tags: Duke ellington, Franco D'Andrea, jazz, jazz italiano, Marco Buttafuoco, pianoforte, recensione, Sorapis,
16 Marzo 2011

Oggetto recensito:

Franco D'Andrea Quartet, Sorapis, El Gallo Rojo 2011

 

giudizio:



7.781535
Media: 7.8 (13 voti)

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