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MUSICA JAZZ

Jarrett, variazioni su di sé

Il nuovo disco dal vivo, Rio, ripropone il piano solo ma frammentato in tanti brevi brani: proprio come in Facing you, l'album che segnò l'esordio del pianista ormai quarant'anni fa. Uno spunto per riflettere su quanto (poco?) sia cambiato nella musica e nell'arte del discusso jazzista americano


di Marco Buttafuoco


Quarant’anni fa, all’incirca, un pianista americano di ventisei anni entrò in uno studio di Oslo per incidere in solitaria alcune tracce basate su un’improvvisazione quasi totale. Si chiamava Keith Jarrett, l’etichetta tedesca che scommetteva su di lui era la ECM. Il disco, la cui incisione durò poco più di tre ore, fu intitolato Facing You. Citava e rielaborava, in otto brani, il jazz, il gospel, la canzone americana, l’avanguardia europea.
 
Iniziò allora un dibattito feroce, e tuttora aperto, su Jarret e sulla sua arte. La critica è tuttora divisa: alcuni considerano il pianista della Pennsylvania come uno dei geni musicali del nostro tempo, un artista capace di sintetizzare in un nuovo linguaggio la tradizione jazzistica e quella della musica colta europea. Altri hanno riversato su di lui anatemi ed autentiche contumelie: il critico italiano Giampiero Cane lo ha definito, letteralmente, "un onanista".
 
Qualcun altro invece pensa, a mio avviso giustamente, che Jarrett abbia espresso il meglio sé proprio in Facing You, e che in quell’incisione si ritrovi, liofilizzata, tutta la sua arte migliore. La (vastissima) produzione successiva sarebbe quindi una lunga variazione su quella prima opera. In effetti, non c’è un disco particolare che segni una svolta nella carriera di Jarret. Ci sono, nel vasto arcipelago della sua produzione d’improvvisatore solitario, (il trio con Gary Peacock e Jack de Johnnette e le incisioni dedicate al repertorio classico meritano capitoli a parte ) isole particolarmente emozionanti, a cominciare dal celebratissimo Concerto di Colonia. Un bollettino dei naviganti di questo mare sonoro riuscirebbe però molto ripetitivo. 
 
jarrett.jpgIl disco di cui parliamo, un live appena uscito per la stessa, oramai leggendaria, etichetta tedesca, celebra Facing You e sancisce, se ce ne fosse ancora bisogno, che Jarrett è uno di quegli artisti che per tutta la vita restano fedeli ad una strada e non l’ abbandonano mai. L’unica novità è che da qualche tempo ha messo da parte le lunghe e talora debordanti improvvisazioni di molti dei suoi lavori precedenti per tornare a discorsi musicali più brevi.
 
Rio si articola infatti su quattordici tracce senza titolo. Come in tutti i live precedenti, anche qui si ascoltano sequenze talora tumultuose e affondate nella limacciosa e fertile terra del blues, talora improntate ad un romanticismo in cui il confine fra abbandono melodico ed estenuazione manieristica resta spesso incerto. D’altronde lo stesso Jarrett non ha mai nutrito ambizioni particolari di innovatore. Certe sue affermazioni lo inquadrano anzi come artista decisamente “passatista”. 
 
Di certo il pianista rivendica anzi una sorta di sua inattualità, il suo appartenere ad una dimensione atemporale e sognante.. Nel suo libro Un desiderio feroce afferma: “Io non mi sento esattamente un musicista. Quando mi ascolto suonare, ci sono momenti in cui realizzo che non si tratta solo di musica”. Mi permetto quindi di chiudere con la bellissima frase di uno scrittore, Fernando Pessoa: “Ognuno di noi è molti, è una prolissità di sé stesso”. Un aforisma particolarmente adatto a un artista che commuove ed annoia, esalta ed estenua, sempre uguale ma in qualche modo pur sempre coinvolgente.



Tags: ecm, Facing You, jazz, Kaith jarrett, live, Marco Buttafuoco, piano, recensione, Rio,
17 Febbraio 2012

Oggetto recensito:

Keith Jarrett, Rio, ECM 2011

Perduta melodia: "L’arte di scrivere melodie se n’è volata via” lamentò una volta Jarrett in conversazioni con Joshua Rosembaum. “Perché la melodia è morta? Ci sono forse un migliaio di risposte. Quando Dio è morto, la melodia è morta. Quando siamo diventati dubbiosi, il dubbio ha cominciato a regnare. La melodia non lascia spazio al dubbio. La melodia parla direttamente. Non dice mai 'non sono sicuro', ma in assenza di un credo, non puoi lasciare che la melodia ti entri nel cuore (…) Non credo che la nostra cultura meriti la melodia (…) In un’epoca scandita dagli impulsi dell’immagine, la melodia diventa una possibilità più remota, perché non abbiamo la concentrazione per ascoltarla nella sua interezza”. 
 
Il giudizio: Un sole ed un ombrello, nel senso che nell’arte di Jarrett c'è molta infamia e molta lode
 

giudizio:



7.02
Media: 7 (1 vote)

Commenti

Chi pensa che in Facing You

Chi pensa che in Facing You si trovi, liofilizzata, tutta l'arte migliore di Jarrett, significa che ha seguito ed ascoltato questo artista solo qualche volta, distrattamente. Non ci può essere nulla di liofilizzato in un'arte che nasce con lui, cresce con lui e va avanti per decenni. Vogliamo dire che i Sun Bear Concerts sono una estensione di Facing You? Chi vuole prendersi questa responsabilità? Vogliamo dire che Paris Concert è una distrazione o una variante di Koln Concert? O che magari il trio americano, il quartetto europeo e il trio Standards siano uno sforzo per non essere monotono? Dov'è Facing You in Rio? Qualcuno sente o percepisce le tracce? L'artista si evolve, ma non tutti hanno il dono di comprenderlo e di seguirlo, specie se ci sidedica solo per fare una recensione. Meglio se di quattro righe, così da essere in tono con la liofilizzazione dell'arte jarrettiana.

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