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TEATRO

Nel labirinto kafkiano

Realizzare un allestimento tratto dal capolavoro dell'autore boemo, Il Castello, significa piegare non solo la sceneggiatura ma anche la stessa scena alle esigenze del testo. Così ha fatto Giorgio Barbiero Corsetti, che firma la regia di questo trittico dove lo spettatore vive lo stesso smarrimento dell'agrimensore K


di Cristina Geninazzi

 


Non è semplicemente uno spettacolo itinerante, quello che offre la regia di Giorgio Barberio Corsetti nella sua ultima produzione, ispirata all’ambiziosa opera di Franz Kafka Il Castello, bensì un viaggio tortuoso e destabilizzante che permette allo spettatore di sperimentare la frustrazione e lo smarrimento del protagonista, l’agrimensore K.
 
Giunto in una terra straniera per compiere il lavoro che gli è stato commissionato, il povero signor K , scopre, in un clima di reticente diffidenza, che la sua venuta con ogni probabilità è stata causata da un errore burocratico. Frastornato dal diffidente astio degli abitanti del villaggio e dall’evidente ostilità dei burocrati che non gli permettono di essere ricevuto al castello del conte, l’agrimensore cerca in ogni modo di adempiere al suo nebuloso dovere e di salvaguardare inutilmente la sua posizione.
 
kafka2.jpgIl labirinto sconclusionato e arzigogolato di luoghi e incontri in cui si muove il protagonista inizialmente spavaldo (l’energico e bravo Ivan Franek) è ripercorso utilizzando con astuzia e intelligenza tutti gli anfratti e le possibilità offerte dalla struttura architettonica del teatro. Così il foyer, i tralicci della regia, le uscite d’emergenza e i recessi dietro le quinte divengono locanda, scuola, casa del sindaco, creando una geografia coerente ma complessa e destabilizzante, che stupisce e smarrisce. Lo spostamento continuo del pubblico non è un’estemporanea ed eccentrica trovata bensì una scelta registica chiara ed efficace che ripropone l’affanno sconcertato del sig. K, come esperienza da vivere in prima persona.
 
La recitazione degli attori, sebbene a tratti leggermente affettata, è ben architettata, con felici uscite e siparietti, e il meccanismo drammaturgico per quanto complesso risulta chiaramente leggibile. L’utilizzo libero e intelligente di elementi scenografici e strutturali sondati nelle loro possibilità espressive arricchisce la bellezza di un’opera pensata e curata nel suo insieme. Gli scenari in cartone si sfaldano e si trasformano sotto gli occhi dello spettatore, aprono e separano con indubbia facilità, schiudono pertugi da cui prendono vita i villici. Con astuta vivacità le scenografie cartonate strutturano la conformazione narrativa, divenendone eco: sono entrambe fittizie e assillanti.
 
Le video proiezioni non solo vivacizzano inaspettatamente gli apparati scenici (ad esempio muovendo pile di fogli in un mastodontico archivio) ma divengono veicolo narrativo sperimentale: il racconto del passato rivive attraverso la presa diretta, che incanala e visualizza i ricordi vergognosi e lontani di una ragazza del villaggio, caduta in disgrazia per aver negato dei favori sessuali ad un alto funzionario del castello.
  
Unica pecca forse nel finale, dalla potenza cinematografica toccante che però recide in maniera fin troppo concisa la matassa di un groviglio senza spiragli, tirata forse un po’ troppo per le lunghe e poi mozzata senza assoluzione né condanna sia per il signor K., che per l’ormai anchilosato pubblico.



Tags: Castello, Cristina Geninazzi, franz kafka, Giorgio Barberio Corsetti, labirinto, recensione, teatro, trittico,
28 Giugno 2012

Oggetto recensito:

Il Castello. Trittico, di Franz Kafka, regia Giorgio Barberio Corsetti

 

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