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TEATRO

Il malato immaginario: se il teatro è una terapia

Tra i tanti Molière portati in scena durante la stagione, quello diretto da Marco Bernardi è forse il più brillante. Merito anche della prova d'attore di Paolo Bonacelli che indossando i panni di Argante ci restituisce una riflessione sui travestimenti del potere in tutta la sua lucida attualità


di Sergio Buttiglieri


Tanto Molière quest’anno sui nostri palcoscenici. Quello che abbiamo visto a Genova al Teatro della Corte è uno dei più spassosi e riusciti. Paolo Bonacelli, attore molieriano per antonomasia, ci ha restituito un Argante superbo, deliziosamente infantile: malato immaginario sprofondato oltre nella sua poltrona e nelle sue antiche ossessioni legate alla salute - tanto simili alle nostre moderne depressioni, infarcite di inutili psicofarmaci.
 
La platea quella sera era gremita di studenti e già ci si aspettavano le solite caciare di adolescenti annoiati capitati a teatro per forza. E invece il pubblico rimaneva concentrato, si divertiva e applaudiva al momento giusto: il meccanismo molieriano ancora una volta ha funzionato alla perfezione.
 
Il grande tema della malattia come fonte di vita, e della medicina come strumento di potere, viene rappresentato con gli stilemi della commedia dell’arte: stilemi che l’autore apprezzava e conosceva bene, per tutte le volte in cui li aveva rappresentati al Palais Royal o con le Compagnie italiane. Eppure Molière non era soltanto un comico ma un autore dalla forte visione morale, che divideva il mondo in due categorie: ipocriti e non. Non gli interessava colpire la religione o i medici in particolare, ma l’ipocrisia in sè. 
 
Anche se nei suoi lavori esiste l’avanspetmalato immaginario2.jpgtacolo, il gusto dell’ammiccamento e le suggestioni che accalappiano il pubblico, l’operazione più radicale che compieva ogni volta che calcava le scene era quella di dissacrare ciò che si riteneva vero e intoccabile, come la classe medica ad esempio, o la religione nel Don Giovanni, grazie a quel sistema di finzioni ed ipocrisie che è in fondo il teatro. Assediato dalle censure per il suo Tartufo e per il Don Giovanni, Molière mantiene il tiro sull’ipocrisia del potere, dissimulandone l’obiettivo attraverso la variante farsesca della medicina. Il medico qui è chi ha in mano il potere delle parole e classifica il nostro stato di salute illudendoci di poterci guarire.
  
E nel Malato immaginario, vera apoteosi di finzioni nelle finzioni, c’è il sublime gioco del teatro dentro il teatro, della morte finta, per ben tre volte utilizzata per smascherare gl’ipocriti sentimenti umani. Ogni personaggio in fondo rappresenta se stesso e qualcun altro, a cominciare dalla servetta Tonina che assumerà le sembianze del medico per smontare le convinzioni del suo logorroico padrone. Una servetta che rimette in discussione la realtà in cui viviamo, come è da sempre compito dell'arte drammatica: e più la sua rappresentazione è ambigua più nella testa del pubblico aumenta la chiarezza.
 
La regia di Marco Bernardi ci mostra all’inizio e alla fine dell’allestimento tutti i personaggi che scorrono come ombre sul fondo traslucido, ornato alla base da infinite bottigliette da farmacista. Argante, finalmente appagato dalle sue scelte finali, e contento di aver smascherato la sua avida neomogliettina Bellina e di aver riscoperto la maturità della sua figlia maggiore Angelica (piacevolmente ritratta da Gaia Insenga), sonnecchia felice sulla poltrona. Pronto con tutta probabilità a dimenticare i consigli del saggio fratello Beraldo, l’ottimo Carlo Simoni, e a farsi in breve tempo nuovamente gabbare da un Balanzone di passaggio, come quel terribile dottor Purgon - il bravissimo Roberto Tesconi che ci regala una spettacolare tirata dal sapore mefistofelico  sullo sdegno che lo percorre quando il protagonista osa rifiutare una  pozione purificante, tanto costosa quanto inutile.
 
In Bonacelli, che è la forza primaria di questa pmalato immaginario3.jpgroduzione, ritroviamo la dirompenza del fondatore del teatro moderno, del creatore della comédie-ballet come in origine era concepito anche questo Malato Immaginario, prima che l’invidioso rampante Lulli, dapprima suo amico, gliene proibisse la rappresentazione in forma musicata.
 
La malattia per Molière e Argante è l’essenza del vivere. Per entrambi, i medici servono ad esorcizzare la morte, illudendoci che un’esistenza da malati sia come una vita da sani. Ma da sani si può vivere se non si ha la coscienza di esistere, solo se si è pervasi da irragionevole follia, mentre la malattia ti soccorre, anestetizzandoti in un’illusoria ricerca di eternità. Mai come con quest’opera Molière era sceso così in profondità e, come nel Misantropo, rivela che in un'esistenza mortale come la nostra è la malattia a produrre la realtà.
 
Tratteggiando quest’ultima figura di onest’uomo, piccolo despota casalingo, perbene, infantile, con il devastante intreccio fobico che lo pervade, svela un’allegoria senza tempo dei nostri rapporti, allo stesso tempo vittimistici e colpevolmente complici, col potere. Grande piacevole teatro di tradizione che non smette di divertirci e stupirci di fronte a quelle ipocondriache manie che non cessano mai di essere attuali.



Tags: Don Giovanni, genova, il malato immaginario, Misantropo, moliere, Paolo Bonacelli, recensione, Sergio Buttiglieri, tartufo, teatro della corte,
25 Gennaio 2011

Oggetto recensito:

Il malato immaginario, di Molière, regia di Marco Bernardi

Il resto del cast: Xenia Bevitori, Gaia Insegna, Fabrizio Martorelli, Massimo Nicolini, Maurizio Ranieri, Giovanna Rossi, Libero Sansavini, Roberto Tesconi e Riccardo Zini
Locandina: scene di Gisbert Jaekel, costumi di Roberto Banci, luci di Giovancosimo De Vittorio
Produzione: Teatro stabile di Bolzano
Tournèe: Cento, Teatro Comunale Borgatti, 31 gennaio; Milano, Teatro Carcano, dal 2 al 20 febbraio; Varese, Teatro di Varese, dal 22 al 24 febbraio; Cosenza, Teatro Rendano, dal 26 al 27 febbraio

giudizio:



7.129998
Media: 7.1 (9 voti)

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