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di Gioia Gottini

Blackout


Oggi, 25 novembre, è la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne. Gli altri 364 giorni, purtroppo, sono le giornate mondiali della violenza sulle donne. E in ogni caso, la tregua non reggerà nemmeno queste 24 ore. Nel tempo che ti ci vuole per leggere questo post, circa 10 minuti, 33 donne nel mondo saranno state vittime di violenza domestica, 20 saranno state stuprate, 10 saranno morte per complicazioni durante il parto perché prive di un’assistenza di base, e una sarà stata uccisa (nel 50% dei casi dal partner) .
Secondo i dati Istat in Italia una donna su tre nel corso della sua vita è vittima di violenza per mano maschile, dalla molestia sessuale allo stalking all’aggressione. Tu quante donne conosci? Ti sembra impossibile un’incidenza così alta? E’ probabile che non abbiano voluto condividere con te quanto accaduto: la maggior parte delle vittime non denuncia e non si confida, quasi che la violenza fosse uno stigma sociale e non un reato subito. Il colpevole? Spesso non va incontro ad alcuna conseguenza, soprattutto se non è uno sconosciuto, ma l’ex partner, il marito o il padre.
Qual è il costo sociale della violenza sulle donne? Una donna che subisce violenza, di qualsiasi genere, è una donna spaventata, che cerca di scomparire, che soffre di stress e di sensi di colpa, per quanto immotivati, e che può contemplare seriamente il suicidio o altre forme di autolesionismo. E’ una donna che non può concentrarsi sul futuro e sulle sue capacità lavorative, creative, umane e relazionali: ha perso la fiducia negli uomini che le stanno vicino, negli sconosciuti, nelle istituzioni e nel destino. E’ una donna che sopravvive, se riesce. Questo a meno che non ottenga una giustizia sociale, economica e morale per il torto subito. E non abbia anche la possibilità di ricevere assistenza psicologica mirata.
Per una donna, la violenza subita genera un blackout, uno spazio nero che continua a riverberarsi nel tempo: non importa quanti anni sono passati, il pensiero e i timori tornano sempre lì. Per ripristinare il filo che la violenza spezza, bisogna fare luce sulle cause, culturali e non, che giustificano o minimizzano il ricorso alla violenza sulle donne. E’ un processo che passa attraverso il rispetto delle differenze, il rifiuto di ruoli stereotipati, l’attenzione a percorsi di autodeterminazione femminile, la conquista di posti di potere e di autonomia economica, la progettazione di aree più sicure che consentano la mobilità delle donne in qualsiasi orario.
Nessuno ha il diritto di sentirsi escluso da questa responsabilità: come genitori dobbiamo educare alla non violenza e alla risoluzione dei conflitti in maniera dialettica; come donne dobbiamo fare cordata, sostenerci a vicenda, non dimenticare che i nostri diritti e la nostra sicurezza vanno difesi con convinzione e solidarietà; come uomini dobbiamo supportare e incoraggiare l’autodeterminazione delle nostre compagne e conoscenti; come cittadini dobbiamo vigilare e intervenire in casi sospetti di violenza familiare (senza aspettare che sia troppo tardi); come elettori ed elettrici dobbiamo pretendere un impegno da parte di politici di ogni colore perché iniziative a favore della sicurezza e della tutela delle donne (e non solo atti simbolici o generiche manifestazioni di solidarietà) non restino lettera morta ma diventino leggi, norme, comportamenti. E non, come si tende a fare, viceversa. Temporeggiare? Non si può più. La violenza sulle donne è una pandemia ad altissima mortalità. Vediamo di vaccinarci subito, fin da piccoli.

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Inserito da Gioia Gottini - 25 novembre, 2009 - 15:54


Commenti

La violenza non è un fatto

La violenza non è un fatto rivolto verso una singola tipologia di persone, la violenza è verso ogni persona che non riesce ad avere un'assistenza medica, che fatica ad avere un'informazione corretta, che non crede in una religione, che crede in una religione diversa, che va apparentemente contro il comune senso del bene e dell'altruismo, che viene superata da un'auto in corsa in modo pericoloso, che viene giudicata da uno sguardo duro da colui che giudica solo per sentito dire, che si prende cura del proprio corpo solo dopo una malattia, che pretende quando non ha mai dato, che cammina e sporca la strada come se fosse roba sua, che sparla delle persone senza conoscerle, che usa il potere e il ricatto per piegare le persone, che gioca con grande maestria con le parole per far intendere quello che vuole, che racconta quello che non pensa, che con una mano dà e l'altra si prende il doppio, che porta una maschera per nascondere la verità su se stesso, che tortura psicologicamente o fisicamente perché sa di non essere scoperto: piccole e grandi violenze verso gli altri e verso se stessi. Violenza alle persone, agli animali, alle cose, al mondo. La violenza non è qualcosa di esterno, è un vissuto interno di ognuno e nessuno ne è escluso. È fatto di situazioni irrisolte, passate, che non trovano pace perché il dolore di un'ingiustizia viene seppellita nella rabbia prima e nella violenza dopo. Consideriamo normale fare violenza verbale, fisica, psicologica su chi vogliamo bene, perché sappiamo che non risponderà e noi ci sentiremo più liberi perché ci saremo tolti un po' di quella tensione di dentro. Ma quale è il prezzo? Non ci pensiamo mai, se non quando è troppo tardi, quando ormai non ci è possibile fare nulla. Peccato.

La violenza è interna e vive come un pensiero contorto e se viene esteriorizzato e trova sfogo si limita ma non si risolve, mentre se non trova sfogo si alimenta del corpo che lo ospita degenerando nei mali più terribili. Se non capiremo questi processi dentro di noi, che nascono perché riteniamo il nostro io l'unica parte vera invece di uno strumento da usare ed, eventualmente, educare, non ne usciremo. Peccato.

e come educatori dobbiamo

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e come educatori dobbiamo intervenire perché i cittadini di domani possano far conto su una cultura diversa, dove la violenza sulle donne non possa essere né accettata né minimizzata.

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