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ritratto di Gioia Gottini
di Gioia Gottini

La lobby rosa


Sì già immagino le obiezioni: mancava solo questa. Però. Tra le varie consorterie che affliggono lo stivale, gruppuscoli di pressione, caimani finanziari, lestofanti gelatinosi eccetera, quello che servirebbe è un po’ di sano spirito di corpo al femminile. Inutile fare affidamento sulla politica, che è quella che è anche perché ci sono poche donne, defilate oppure semplicemente depilate, a volte basta quello per agguantare un posto. Partiamo dal basso, dai rapporti umani più prossimi, dalle donne con cui abbiamo a che fare ogni giorno, di persona oppure a distanza: la cassiera, l’autista di autobus, l’insegnante di danza, la dentista, l’impiegata di banca, la musicista, la scrittrice, la commercialista, la ristoratrice, la venditrice di rose, la tassista.
 
Allora ammesso che in una giornata tipo dobbiate avere a che fare con circa una decina di persone sconosciute o comunque non vincolanti nella vostra vita, quante volte vi affidate consapevolmente a una donna per sostenere il suo ruolo e la sua professionalità? Quante volte davanti a una scelta che dovete basare solo su un nome o un volto - a parità di prestazioni e ruolo - trasformate quella scelta in un impegno di genere e in un atto politico privilegiando senza ripensamenti una donna? A volte la scelta è obbligata (esistono professioni a netta presenza femminile e non sono le più pagate, ahimé), in altri casi la presenza femminile è scarsa e timida, ma in ogni caso vale la pena di lanciare il messaggio: qui si fa cordata, ci si sostiene a vicenda, o così o si rimane nelle retrovie. Quelle silenziose, dove succede poco e si raccolgono i feriti.
 
E’ un esercizio che solo con il tempo diventa naturale: fino a quel momento, conviene invece sforzarsi di fare scelte controcorrente, di individuare e premiare l’elemento femminile, di riconoscerne il valore, di costruirsi un pantheon di modelli femminili da additare alle future generazioni (di bambine, e di bambini), di non lesinare sostegno e comprensione a ogni donna che tra mille sforzi cerca di realizzare il suo progetto di parità e indipendenza. E sì, anche di fare gruppo sul lavoro (passando sopra alle antipatie personali e concentrando gli sforzi sul nemico comune: la scarsa flessibilità e tutela del lavoro femminile), di usare la propria posizione per aiutare e inserire le nuove leve, di sperimentare quello che all’estero si chiama women mentoring (date un’occhiata qui)
 
Con un occhio a un futuro remoto in cui la questione di genere non si porrà più perché superflua, assorbita da un pari accesso alle posizioni che contano, e uno al futuro più prossimo delle elezioni regionali: hai già scelto quale donna vuoi sostenere con il tuo voto? Vale la pena ricordare che in Campania è possibile esprimere una doppia preferenza di candidati solo ed esclusivamente se uno dei due è una donna. Vediamo di approfittarne.



Inserito da Gioia Gottini - 24 febbraio, 2010 - 12:36


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Anche l'uomo si profuma. Ma come?


Un tempo c’era quello per l’uomo che non doveva chiedere mai. Poi sono arrivati tutti gli altri. Ma agli uomini è rimasta la poca voglia di chiedere, il che porta a dilemmi irrisolti e a errori fatali. Tipo: ma questo è un profumo o un deodorante? Spesso un occhio al prezzo aiuta, ma negli altri casi viene in aiuto la pubblicità: le pubblicità dei deodoranti di solito mostrano adolescenti maschi circondati da bellissime fanciulle sexy e sorridenti. In realtà sorridono perché felici di trovare un 18enne avvicinabile: a certe età, un deodorante è tutto quello che si può chiedere a un uomo in fatto di igiene personale.
 
Uomini che state leggendo, se siete in dubbio, spruzzatelo: se fa fss, è un profumo. Se fa fsssssssss, è un deodorante. Non usate mai il profumo per deodorarvi le ascelle: non ha questo potere ed è in genere dolciastro, quindi a metà giornata emanerete un afrore poco piacevole. Potete farvene un’idea spruzzando il vostro profumo preferito su un cane bagnato.

Altro errore: comprare un profumo senza provarlo, attratti dal packaging, dalla campagna pubblicitaria, dal nome o dalla commessa. Con il risultato, classico, di ritrovarsi con un profumo invernale in estate e viceversa. Ma anche di intercettare un profumo che reagendo con il ph della pelle diventa qualcos’altro, a metà tra un posacenere abbandonato e un mercato dei fiori nel tardo pomeriggio. Tipologie:

1. L’uomo come una volta. Vedi pubblicità di Dolce e Gabbana. Un uomo adagiato su una barchetta, inquadrato dal basso ventre, con indosso un costumino bianco: non ha niente da nascondere, e tutto da mettere in mostra, compresi i pettorali da nuotatore. Intorno a lui, lo scenario da sogno della grotta azzurra, perché si sa, Italians do it better. Come ti aspetti che sia il profumo: fresco e persistente.
 
2. Il testimonial. Nessun uomo sarà mai portato a pensare che indossando un profumo le donne vedranno in lui il famoso attore di Hollywood. Per quello ha bisogno almeno di una macchina di lusso. Ma il profumo con testimonial bypassa il problema per raggiungere il suo vero target d’acquisto, le donne. Le quali, si sa, hanno più fantasia, e possono riuscire, nelle giuste condizioni di luce, a scambiare il compagno di una vita per il mascelluto a petto nudo che hanno adocchiato su D donna. Certo il profumo deve essere davvero buono, con toni di tabacco e di spezie, anche un po’ da capogiro.
 
3. Il profumo unisex. Un genere relativamente nuovo, ma all’apparenza gradito. Spesso comprato dall’uomo senza nemmeno sapere che è unisex (ha sentito un profumo agrumato e fresco, il flacone sembrava una bottiglia di Gatorade e tanto gli è bastato), o comprato dalla donna perché piace anche a lei. Lui lo indosserà senza problemi se lo porta anche la sua compagna, scambiando la cosa per il desiderio di lei di “annusarne” la presenza anche quando non c’è, ma smetterà quando scoprirà che anche la sua collega in ufficio lo usa.
 
4. Il profumo-totem. Questo non ha bisogno di un testimonial, belloccio o famoso che sia. Basta la presenza di una bottiglia-feticcio che da sola diventa promessa di successo. Perché il trucco riesca la bottiglia deve somigliare a: un simbolo fallico; una macchina; un pugnale; un cambio; e quindi in ultima analisi sempre a un simbolo fallico. Grande, fuori misura, da tenere con due mani. Il rischio è che il profumo sia all’altezza: pesante, umorale, difficile da portare e ingombrante.
 
5. L’alternativo. Qui siamo in un territorio di confine che di solito ospita uomini dalla sessualità incerta, metrosexual, artistoidi e studenti del Dams. Il profumo in questione può avere boccette ironiche (Moschino, J.P. Gautier), essenze di solito usate per i profumi femminili (rosa, fiori d’arancio), campagne pubblicitarie insolite e senza uomini appena usciti dalla doccia. Chi lo porta, incredibilmente, lo sceglie per il motivo meno scontato: perché in genere è un buon profumo.



Inserito da Gioia Gottini - 10 febbraio, 2010 - 14:35


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Femminile plurale


E’ nelle grandi tragedie che si vede lo spirito di una nazione, vero? Vero. Ma qui in Italia siamo da tempo fermi all’avanspettacolo, quindi guardiamo altrove. Guardiamo ad Haiti, che già come paese se la passava molto molto male, ma mancava da un po’ di tempo all’attenzione mediatica, quindi è come se non fosse successo nulla fino ad ora. Il terremoto allora era necessario perché la questione diventasse degna di nota, almeno per scuotere l’opinione pubblica e strappare precisi impegni politici internazionali? Forse, anche se è sconfortante pensarlo. E come sta rispondendo il nostro paese all’emergenza?
 
Riprendo un estratto da una notizia apparsa sul sito dell'Adnkronos: “Intanto i ministri degli Esteri dell'Ue riuniti a Bruxelles per il Consiglio Affari Esteri hanno dato il via libera all'invio di almeno 300 uomini della gendarmeria europea, cui appartengono sei stati membri con polizie a statuto militare (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda e Romania). Alla missione parteciperà un battaglione di Carabinieri di circa 120-150 uomini“.
 
Beh, polemiche di Bertolaso a parte, almeno qualcosa si muove. Anzi qualcuno. Uomini, tanti, motivati e in missione. Però aspetta. Solo uomini? Guardo sui siti stranieri: in inglese si parla genericamente di “troops” o di “people”, mai di uomini. E che ormai le donne possano, anche in Italia, entrare in tutti i corpi militari e civili è conquista recente ma per fortuna non messa in discussione. E allora? Allora, come al solito, se dico “chirurgo” tu pensi a un tizio pelato e non a una con il reggiseno (a meno che non ci pensi comunque, ma quello è un tuo problema), se in un’attività umanitaria di qualsiasi tipo sono impegnati 3 uomini e 100 donne si parlerà genericamente di volontari, l’ultima trasmissione farlocca mi invita a eleggere Il Più Grande Italiano di tutti i tempi (e la tentazione allora è di votare Mina, per vedere l’effetto che fa).
 
Mi si dirà che la lingua italiana è fatta così, che non vorremo arrivare agli eccessi di politically correct americano, che insomma i problemi sono altri. Va bene, forse i problemi sono altri. Ma questo del linguaggio, e della sua inclinazione di genere, ci tocca nel profondo, e incide direttamente sull’inconscio. Per cui ci porta a escludere dal nostro orizzonte ipotetico tutta l’altra metà del cielo, con ricadute nelle nostre scelte, in quello che riteniamo probabile, e quindi nelle pari opportunità che diamo a noi stessi prima che agli altri. “Le parole sono importanti”, diceva una celebre battuta di Nanni Moretti. Forse sarebbe il caso di ricordarsi che sono importanti anche le loro desinenze.



Inserito da Gioia Gottini - 3 febbraio, 2010 - 00:50


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New Italian Mamme


Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia le donne nella fascia 15-64 anni che non lavorano sono 9 milioni 685 mila, con un aumento tendenziale dell'1,7 % rispetto all'anno scorso. Ricordo che il nostro paese ha una delle percentuali più basse in Europa di occupazione femminile (meno del 50%, fanalino di coda che ci giochiamo con Malta) e un divario di stipendio uomo-donna pari al 4,4% (qui stiamo messi meglio rispetto alla media). 
 

Perché il lavoro femminile in Italia stenta a decollare, e questo anche prima della crisi, che ha penalizzato ovviamente ancora di più le fasce deboli, come precari e donne? Perché una donna subisce varie discriminazioni nel corso della sua carriera lavorativa. Anche se in media le donne si laureano più in fretta e con risultati più brillanti degli uomini, spesso le discipline scelte sono meno concorrenziali. Poi c'è il fattore-figli: le donne in età fertile sono viste dal potenziale datore di lavoro come mine vaganti, pronte a farsi ingravidare proprio prima del bilancio trimestrale. Quelle che nonostante tutto perseverano nell'errore e un figlio lo fanno, si trovano risucchiate nel vortice di maternità obbligatoria, maternità facoltativa, part-time (non sempre possibile), asili nido fantasma. E non sono poche quelle che dopo un figlio non ritornano al lavoro (1 su 5): conti alla mano, l'asilo privato e/o la baby sitter costano più del loro stipendio.
 
In questo quadro abbastanza fosco e che denota la miopia e scarsa flessibilità del mercato del lavoro in Italia, si fanno strada nuove mamme, agguerrite ma lucide, per cui la maternità coincide con una rivoluzione non solo personale, ma anche lavorativa. Che si legge così: già che sono a casa, unisco l'utile al dilettevole, apro un blog o rispolvero una vecchia passione/hobby/capacità artistica e ne faccio un lavoro. Per la serie mostra e dimostra, ecco qui alcuni casi emblematici tutti italiani. Wonderland, nick name dell’autrice del blog Ma che davvero, che abbandonata una carriera di tutto rispetto per fare la mamma inaspettata, è in procinto di pubblicare un libro sulla sua “vita con polpetta”. Silvia e Paola di Quarantasettimane che sono diventate imprenditrici proprio creando una linea ad hoc di abbigliamento pro maman. E ancora tanti tantissimi blog di mamme che si sono scoperte cuoche attente e raffinate proprio alle prese con le prime pappine: Comida de mama, oppure Il cucchiaino di Alice. Morale? Forse il web è davvero un nuovo mondo di parità e possibilità: world wide women.


Inserito da Gioia Gottini - 22 gennaio, 2010 - 19:44


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Se 12 segni vi sembran troppi


Inizio anno, tempo di buoni propositi (dieta in primis), di speranze, di lotterie e di previsioni astrologiche. Anche se in effetti negli ultimi tempi va di moda sparare a zero sugli astrologi, che non ci azzeccano mai, a quanto sembra, insieme agli economisti... Io ho il sospetto che la meteorologia sia meno attendibile dell'astrologia, e potrei portare numerose prove a sostegno, altro che Cicap.
Ma quello che mi interessa, anche come studiosa e appassionata della materia, è sondare il binomio pressoché inscindibile donna-astrologia. Sì perché i vari libretti e guide all'anno che verrà sono di solito allegati ai femminili. L'astrologia è quindi “cosa da donne”? Fino a un certo punto: se vai a vedere, gli astrologi più famosi e/o mediaticamente rilevanti sono quasi sempre uomini. E allora cosa dedurne? Che anche un territorio considerato “leggero” (in realtà non lo è affatto, se indagato a fondo e con metodo) consente alle donne una fruizione spesso solo passiva: io “uomo-astrologo” ti leggo dentro, ti dico chi sei e cosa desideri, se l'amore arriva e come propiziare quel colloquio di lavoro. Tu leggi, sogna, sospira e magari chiedimi un consulto privato.
 
Eppure le astrologhe esistono, e sono altrettanto se non più brave. Un orgoglio tutto italico è stata Lisa Morpurgo, la cui intelligenza e originalità rimane impareggiabile (leggere per credere Il convitato di pietra, se riuscite a seguirne la logica a incastro, oppure il più divulgativo Introduzione all'astrologia), ma possiamo ricordare anche Liz Greene, Linda Goodman.
La domanda è: anche l'interpretazione astrologica risente dei giudizi di genere? Prendiamo un astrologo molto apprezzato, anche grazie al suo coté intellettuale: Marco Pesatori, firma di D La Repubblica delle Donne e di Vogue Italia. Ha uno stile molto particolare, con riferimenti più o meno riconoscibili a dischi, film e libri non propriamente mainstream. E' un astrologo per intellettuali (sull'argomento ha scritto anche un libro). Ma il volume che ci interessa è un altro: Astrologia delle donne, edito da Neri Pozza, uscito lo scorso settembre. In esso il nostro teorizza l'esistenza di tre tipi di donne: il tipo tradizionale, quello amazzonico e quello eterico. Per ogni tipo, descrizione, citazioni di scrittrici e cantanti famose, segni zodiacali affini eccetera.
 
Tutto anche interessante, però... le categorie appaiono un po' forzate: i segni sono 12, e la riduzione a 3 sole possibilità sembra una riedizione raffinata della tripletta che vuole le donne nell'ordine “sante, stronze o puttane”. Quartum non datur. Un vizio, questo di catalogare le donne secondo maglie strette e non negoziabili, e soprattutto individuate con certosina sicumera e paternalismo da occhio maschile, che periodicamente si ripresenta con esiti più o meno contestabili, se è vero che da poco tornato in libreria La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (altra tripletta, e neanche troppo dissimile dalla precedente!), di Cesare Lombroso. Riedito dalla casa editrice “et. al” dopo il fortunato esordio del 1893, il tomo è un fulgido esempio di misoginia positivista. Come dire: non solo la bellezza, ma anche la finitezza è nell'occhio di chi guarda.


Inserito da Gioia Gottini - 13 gennaio, 2010 - 13:20


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La sciamana vien di notte


Oggi, 6 gennaio, Epifania, ma nella vulgata popolare è la Festa della Befana. Aspettatevi, come donne, i “simpaticissimi” auguri del mattacchione di turno per la “vostra” festa. Certo, perché Befana è sinonimo di donna brutta, vecchia e rancorosa, una zitellaccia insomma, e con poco gusto nel vestire. Babbo Natale è quel simpatico gigione che sappiamo, Gesù Bambino c'ha contatti in alto loco, mentre la Befana arriva da buona ultima, con la nomea di quella che porta via tutte le feste e per di più distribuisce carbone, qualche dolcetto stantio, frutta secca e soldi di cioccolato fuori corso.
 

Ultima forse nel calendario, ma non certo per anzianità: il Babbo Natale as we know it è un micidiale prodotto del marketing di fine Ottocento; Gesù Bambino a occhio e croce avrà 2009 anni, ma la Befana non è altro che l'ultima incarnazione di una figura mitica che percorre tutta la storia della cultura indoeuropea e oltre: la sciamana. Già già. Qualche indizio si evince dal fatto che vola sulla sua scopa, nella notte: attributo da strega, no? Strega che, a sua volta, non è altro che la definizione “cristiana” di figure molto più benefiche – e quindi pericolose per l'autorità costituita: conoscitrici delle piante e delle loro proprietà, curandere, ostetriche, guaritrici, all'occorrenza capaci di andare in trance (magari con l'aiuto di qualche sostanza psicotropa naturale) e fornire profezie e responsi. Figure quindi a metà tra il medico e il religioso, che godevano di grande stima e potere (ne sopravvivono ancora, di queste guaritrici, nelle campagne, ma sono rare, ben nascoste e all'occorrenza ammantate di fervore cristiano, anche se affondano le loro radici in una cultura pagana, animista, matriarcale, pre-storica). Seguendo un cammino tortuoso che passa per la greco-romana Ecate, la Baba Jaga russa, le varie streghe delle favole nel folklore nordico, la Befana prosegue il suo volo notturno attraversando imperterrita razionalismo, positivismo e post-modernismo. La vecchina è sempre qui tra noi, ovunque un bambino si ricordi di lasciarle un mandarino e un bicchiere di vino. Agli adulti, che hanno bisogno di contestualizzazioni e riferimenti colti, consiglio la lettura di un classico sul tema, Il Dio delle Streghe dell'antropologa Margareth Murray. Da regalare, magari, anche all'amico faceto di cui sopra.



Inserito da Gioia Gottini - 6 gennaio, 2010 - 01:15


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I regali non hanno sesso


Manca appena una settimana a Natale, e ci si attarda a comprare gli ultimi regali. Destinatari privilegiati: i bambini. Cosa regalate quest'anno ai vostri figli/nipotini/cuginetti? La spada laser per il maschietto e la bambola con il raffreddore per la femminuccia? Beh, tanto vale allora mettere da parte i soldi per la retta alla Normale per lui e il corso di portamento per lei. Direte che sono loro ad averlo chiesto. E certo, bombardati come sono da condizionamenti culturali e aspettative di genere (che bravo ometto, che bella signorina...). Come possono liberarsene senza l'aiuto di adulti meno piegati su un universo ludico standard?
Molto meglio regali “unisex”, o addirittura invertire: il meccano per lei e la cucina con fornetto per lui. “E se poi mi diventa omosessuale?” (lui, ovviamente, eh?). A parte il fatto che non si “diventa” omosessuali, ma lo si è o no, non è che fare il cuoco comporti un rischio maggiore. Il mondo è pieno di chef eterosessuali, per eventuali dubbi rivolgersi a Vissani. E lei? Lei sarà finalmente libera di eccellere nelle scienze e nella matematica (per qualche strano motivo, le bambine vanno fortissime in queste materie alle elementari, poi ripiegano sulle materie umanistiche alle soglie della pubertà: qualcosa vorrà pur dire).

In effetti, la reazione ai giochi “di genere” è già iniziata, precisamente in Inghilterra, dove è nata la campagna Pink stinks (il rosa puzza, cioè fa schifo): combatte la “cultura del rosa”, in cui tutto quello che riguarda le bambine è appunto pastelloso, zuccherato, lezioso e ben poco utile per farsi strada nella vita (a meno che la strada sia percorsa in tacco dodici e mattarello).
Per rendevi conto di quanto i giochi per bambini siano sessisti, date un'occhiata ai tanti cataloghi natalizi che vi rifilano nelle buche delle lettere. Qualcuno l'ha già fatto per voi: in Svezia, gli studenti di una scuola media hanno denunciato il catalogo natalizio di Toys R Us all'equivalente nordico del Garante della pubblicità. La motivazione? Le bambine erano raffigurate in ruoli passivi, con vestiti da principessine, trucchi, bambolotti; i maschietti invece con costumi da super-eroi o bancali del fai da te. Ruoli stereotipati, poco elastici, stantii, ma difficili da evitare senza un po' di attenzione e consapevolezza.
Ancora in dubbio? Un regalo adatto a tutti, genitori in primis, è il libro Extraterrestre alla pari di Bianca Pitzorno, scritto nel 1979, quando di stereotipi di genere si parlava davvero, e in modo intelligente. E' la storia di Mo, extraterrestre che viene da un pianeta in cui l'identità sessuale si scopre solo con la maggiore età. Fino ad allora, macchinine telecomandate e bebé fai la nanna per tutti/e, com'è giusto che sia.



Inserito da Gioia Gottini - 17 dicembre, 2009 - 17:27


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di Gioia Gottini

Per le Madonne


 

Oggi, 8 dicembre, si festeggia l'Immacolata Concezione, una delle ricorrenze più ambigue della cristianità. Allora disambiguiamola: l'Immacolata Concezione non è riferita al fatto che Maria concepisce Gesù per opera dello Spirito Santo, ma al fatto che Maria stessa sia nata senza peccato originale. Perché era necessaria questa premessa? Perché Dio non poteva incarnarsi in una donna generata da un banale rapporto sessuale: Anna, la madre di Maria, pur essendo sterile, riceve la grazia di una maternità. Il tutto serve a fare capire che Maria non è una donna normale, una di noi, per quanto assolutamente vergine prima durante e dopo il parto: già nasce perfettina, figlia del miracolo, non riproducibile. Dogma controverso, sancito solo nel 1854 con bolla papale di Pio IX.
 
L'Immacolata Concezione è un attributo della Madonna che la rende distante, impedendo di fatto una qualsiasi identificazione con una delle poche figure femminili che godono di qualche considerazione della teogonia cristiana. Eppure il culto di Maria è diffusissimo e trasversale, un po' come quello per padre Pio, che ormai dà punti a Gesù, o di san Gennaro per la cui intercessione il fedele si rivolge all'Altissimo, e non viceversa (un po' come chiedere a Berlusconi di intercedere presso Saccà per una fiction in Rai, per intenderci).
 
Il motivo della fortuna del personaggio risiede nel fatto che di Madonne ce n'è una folla, alcune decisamente più alla mano e stravaganti. Ognuna gode di un suo culto limitato nel luogo (che spesso coincide con quello di una sua apparizione) e nel tempo, ma per questo ancora più tenace e anche, diciamocelo, piuttosto pagano. D'altra parte l'iconografia mariana, con la mezzaluna crescente e il figlioletto tra le braccia, è ricalcata pesantemente su quella della dea Iside, la madre santa nel mondo antico. Ma il parallelismo più calzante è quello con altre dee orientali: proprio come nell'induismo, la Madonna è una divinità con molteplici avatar, basta scegliere quella che fa al nostro caso.
Ci sono le varie Madonne nere politically correct o le varianti solo abbronzate; la Madonna della Neve che sfida il riscaldamento globale; l' Addolorata che ne ha viste di tutti i colori e quindi ha una parola buona per tutti, un po' come una Maria De Filippi vestita meglio; la Madonna della Salute che ci preserva da epidemie varie; l'Assunta che difatti ormai solo un miracolo, e poi scendendo di livello nei super-poteri la Madonna del Boschetto (sic!), la Madonna della Lettera, quella della Tosse... Morale? Ancora una volta, mentre Dio è uno o al massimo trino, alle donne tocca farsi in quattro, mettere una pezza qua e là da autentiche virtuose del multi-tasking, il tutto con il sorriso sulle labbra e al massimo qualche moccolo di ringraziamento.


Inserito da Gioia Gottini - 8 dicembre, 2009 - 01:18


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Donna, abortirai con dolore


Oggi, nel pomeriggio, il cda dell'Aifa si riunisce per una nuova delibera sulla ru486, dopo le “richieste” del ministro del Welfare Sacconi.
L'interminabile dibattito sulla pillola abortiva (sì, è in uso da 20 anni nella maggior parte dei paesi europei; no, contravviene la 194; ok, allora somministriamola solo in ospedale; no, il parlamento deve vederci chiaro (!); comunque renderà l'aborto meno doloroso; però  in questo modo lo si banalizza) nasconde due altrimenti evidentissime verità:
1) il corpo della donna è ancora terreno di conquista e di scontro di una ideologia pseudocattolica, per cui la contraccezione e il controllo delle nascite sono iatture inenarrabili, mentre per esempio la pedofilia e l'affiliazione mafiosa  consentono soavi distinguo;
2) le donne che potranno effettivamente farne uso sono pochine, dato che in Italia può essere somministrata fino alla settima settimana di gravidanza, e in media una donna non si accorge di essere incinta fino almeno alla quarta.

 

Quindi di cosa parliamo, quando parliamo di ru486? Di scelta, essenzialmente: scelta tra considerare una gravidanza indesiderata come una questione da gestire in modo quanto più possibile indolore – non tanto fisicamente quanto psicologicamente – o vederla come una macchia che va sopportata oppure risolta nel modo più colpevole, passando attraverso colloqui e canali a volte poco benevoli, e obiezioni sospette. Il tutto per tutelare il diritto all'esistenza di un organismo di dimensioni microscopiche – 10 mm, un abbozzo di coda e l'aspetto di un capodoglio – negando quello all'autodeterminazione di un organismo molto più complesso e articolato che corrisponde al nome di femmina umana.

 

La deriva del diritto alla contraccezione e alla maternità consapevole nel nostro paese continua da decenni, con la sensazione che anche battaglie archiviate siano a rischio, e una violenza inaudita nel lessico e nella semantica di chi condanna l'aborto (assassine, uccisione, barbarie, genocidio). La sensazione prevalente è quella di un assedio, in cui le donne, in evidente mancanza di ossigeno, devono trattenere il fiato e sperare in soccorsi dall'esterno. Quali? Forse l'Unione europea, che ogni tanto ci tira le orecchie per ricordarci che esistono cose come le pari opportunità, le differenze di genere, la laicità e la possibilità di rifiutare cure palliative.
Oppure organizzazioni corsare come Women on waves (www.womenonwaves.org), associazione olandese nata per offrire alle donne la possibilità di interrompere una gravidanza anche in quei paesi, come il Portogallo e l'Irlanda, che lo rendevano/rendono quasi impossibile. Come fanno? Operano in acque internazionali, e quindi battono bandiera – e leggi – dei Paesi Bassi. Da noi potrebbero arrivare da sud, sotto Lampedusa, ma dovrebbero vedersela con il traffico dei respingimenti di extracomunitari sui barconi. Tanto quelli sono embrioni fin troppo sviluppati: 100 in più o in meno, cosa vuoi che sia, e poi comunque non sono mica figli nostri.



Inserito da Gioia Gottini - 2 dicembre, 2009 - 14:03


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di Gioia Gottini

Blackout


Oggi, 25 novembre, è la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne. Gli altri 364 giorni, purtroppo, sono le giornate mondiali della violenza sulle donne. E in ogni caso, la tregua non reggerà nemmeno queste 24 ore. Nel tempo che ti ci vuole per leggere questo post, circa 10 minuti, 33 donne nel mondo saranno state vittime di violenza domestica, 20 saranno state stuprate, 10 saranno morte per complicazioni durante il parto perché prive di un’assistenza di base, e una sarà stata uccisa (nel 50% dei casi dal partner) .
Secondo i dati Istat in Italia una donna su tre nel corso della sua vita è vittima di violenza per mano maschile, dalla molestia sessuale allo stalking all’aggressione. Tu quante donne conosci? Ti sembra impossibile un’incidenza così alta? E’ probabile che non abbiano voluto condividere con te quanto accaduto: la maggior parte delle vittime non denuncia e non si confida, quasi che la violenza fosse uno stigma sociale e non un reato subito. Il colpevole? Spesso non va incontro ad alcuna conseguenza, soprattutto se non è uno sconosciuto, ma l’ex partner, il marito o il padre.
Qual è il costo sociale della violenza sulle donne? Una donna che subisce violenza, di qualsiasi genere, è una donna spaventata, che cerca di scomparire, che soffre di stress e di sensi di colpa, per quanto immotivati, e che può contemplare seriamente il suicidio o altre forme di autolesionismo. E’ una donna che non può concentrarsi sul futuro e sulle sue capacità lavorative, creative, umane e relazionali: ha perso la fiducia negli uomini che le stanno vicino, negli sconosciuti, nelle istituzioni e nel destino. E’ una donna che sopravvive, se riesce. Questo a meno che non ottenga una giustizia sociale, economica e morale per il torto subito. E non abbia anche la possibilità di ricevere assistenza psicologica mirata.
Per una donna, la violenza subita genera un blackout, uno spazio nero che continua a riverberarsi nel tempo: non importa quanti anni sono passati, il pensiero e i timori tornano sempre lì. Per ripristinare il filo che la violenza spezza, bisogna fare luce sulle cause, culturali e non, che giustificano o minimizzano il ricorso alla violenza sulle donne. E’ un processo che passa attraverso il rispetto delle differenze, il rifiuto di ruoli stereotipati, l’attenzione a percorsi di autodeterminazione femminile, la conquista di posti di potere e di autonomia economica, la progettazione di aree più sicure che consentano la mobilità delle donne in qualsiasi orario.
Nessuno ha il diritto di sentirsi escluso da questa responsabilità: come genitori dobbiamo educare alla non violenza e alla risoluzione dei conflitti in maniera dialettica; come donne dobbiamo fare cordata, sostenerci a vicenda, non dimenticare che i nostri diritti e la nostra sicurezza vanno difesi con convinzione e solidarietà; come uomini dobbiamo supportare e incoraggiare l’autodeterminazione delle nostre compagne e conoscenti; come cittadini dobbiamo vigilare e intervenire in casi sospetti di violenza familiare (senza aspettare che sia troppo tardi); come elettori ed elettrici dobbiamo pretendere un impegno da parte di politici di ogni colore perché iniziative a favore della sicurezza e della tutela delle donne (e non solo atti simbolici o generiche manifestazioni di solidarietà) non restino lettera morta ma diventino leggi, norme, comportamenti. E non, come si tende a fare, viceversa. Temporeggiare? Non si può più. La violenza sulle donne è una pandemia ad altissima mortalità. Vediamo di vaccinarci subito, fin da piccoli.


Inserito da Gioia Gottini - 25 novembre, 2009 - 15:54