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SPECIALE BIENNALE DI VENEZIA / 2

Sgarbi veneziani

Anticipato da discussioni, polemiche, dimissioni presentate e poi ritirate, approda alla Biennale L'arte non è cosa nostra, la mostra curata dal famoso critico. Le opere di più di duemila artisti "raccomandati" da nomi noti della cultura vengono esposte nel Padiglione Italia. Più che un'esposizione, un'esibizione: imbarazzante ma da vedere.
 


di Chiara Di Stefano


Durante i tre giorni di apertura della Biennale alla stampa sono tornata più volte nel Padiglione Italia e ne ho constatato l’evoluzione dell’allestimento, dall’1 al 3 giugno quando ha trovato la sua forma definitiva. La sensazione che si è manifestata, fin dal primo giorno, è stata di caos. Non parlo del caos ordinato che avvolgeva gli altri padiglioni in rifinitura, mi riferisco a quel caos che ci troviamo di fronte la mattina dei saldi di fine stagione, di capi sparsi ovunque nell’attesa che il pubblico si avventi su di loro. 
 
L'apparente assenza di esperienza da parte di Vittorio Sgarbi ha prodotto una delle mostre più imbarazzanti della storia della Biennale di Venezia. La mostra della scorsa edizione, di Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, benché presentasse opere discutibili, aveva il pregio di essere più o meno godibile sul piano dell’allestimento. Questa L’arte non è cosa nostra invece non solo si lava le mani da qualunque norma di allestimento sviluppata negli ultimi cento anni, tornando all’esposizione di quadri per file di quattro, ma aggiunge una serie di elementi (dalle strutture metalliche che sostengono le opere alle scatole di legno, simili a cassette della frutta, utilizzate per segnalare il nome dell’artista) che la fanno sembrare, a tutti gli effetti, una pessima prima prova di uno studente al primo anno di accademia.
 italia-in-croce_488.jpg
Il meccanismo stesso di selezione degli artisti, sbandierato come innovativo, riflette una totale mancanza di idee rispetto all’arte contemporanea. Il progetto del curatore non esiste; o meglio esiste nella sua assenza. Nella selezione degli artisti, più di duemila, si demanda ad intellettuali (o meglio ad opinionisti del salotto di Vespa) di selezionare un artista preferito. In questo gioco di scatole cinesi il curatore Sgarbi dunque è presente solo nella fase di selezione dei supposti opinion leader, non certo degli artisti. Alcuni dei nomi dei selezionatori, definiti “sponsor” Stefano Zecchi, Mario Botta, Luciana Litizzetto, Vladimir Luxuria, Alain Elkann, Ascanio Celestini, Lucio Dalla.. in questa Italia di raccomandati lo sponsor attraversa gli schieramenti politici.
 
Nel dettaglio le opere sono così tante che si apprende solo da altri articoli la presenza di un lavoro di Giulio Paolini, bello, piccolo e nascosto che è stato fagocitato dal marasma. Un blob che nasconde anche opere pregevoli e le lascia nell’anonimato. Un’ampia percentuale di lavori è su tela e si vedono anche cose discrete, ma la pedestre disposizione dei quadri per file ce ne fa scoprire e perdere di nuovi ogni giorno, a discapito anche di cose interessanti e di buona fattura.
 
Lo schema di inutile complicazione dell’allestimento prevede quadri sulle pareti delle due sale d’ingresso disposti su file di tre o di quattro (come nel Salon francese di metà ottocento), quadri appesi su strutture di ferro bianco ricurve che creano anse labirintiche che strozzano la circolazione degli spettatori.
Installazioni di vario genere si trovano nelle sale di sinistra, dove si respira di più e si riesce anche ad intuire autori e selezionatori, i cui nomi, spesso "storpiati", sono scritti con il trasferibile sulle cassette di legno ai piedi delle opere.
 
Nella prima sala di sinistra campeggia l’opera di Gaetano Pesce: una penisola italiana grondante sangue e messa in croce con una mise en abime che rimanda alle atmosfere di una chiesa con tanto di ceri votivi ai suoi piedi. (L'Italia in croce, 2011, sopra). Alla sua sinistra una pregevolissima installazione di Jannis Kounellis prestata da Alda Fendi, così sobria da essere fuori posto e sulla quale si sono abbattuti gli strali di Sgarbi che durante l’opening ha affermato: “Kounellis? Può anche staccare il suo lenzuolo ed andarsene a casa”, giusto per mettere in chiaro l’atteggiamento del curatore nei confronti dell’arte non figurativa. 
 
Il vero progetto di Sgarbi è il Museo della Mafia, un “parapadiglione” all’interno del padiglione Italia che riproduce la struttura aperta dallo stesso sindaco a Salemi, la città siciliana della quale è sindaco ( da noi recensito qui). All’interno di questo museo, allestito dallo scenografo Cesare Inzerillo su idea di Sgarbi, così come in buona parte di questo gigantesco carrozzone, il kitsch la fa da padrone. Se da un lato la prima parte documentativa con le pagine dei giornali che riguardano le stragi di mafia sono un utile promemoria per le generazioni future, l’inquietante installazione con le cabine nelle quali si può “ascoltare la mafia” toglie il respiro per la sua inadeguatezza. Non c’è denuncia sociale ma solo spettacolarizzazione, una Disneyland macabra in dieci tappe che ha fatto gridare d’indignazione più di un siciliano. 
 adamo, gaetano pesce.JPG
Le opere esposte sono nel loro insieme un massaggio all’ego del curatore che più volte è stato ritratto e citato. In particolare nella prima sala di destra, in alto ma bene in vista, troviamo un ritratto di Sgarbi accanto ad un ritratto di Berlusconi: conclude il trittico una riproposizione fotografica della celebre opera di Courbet L’Origine du Monde. Al lettore trarre le ovvie conclusioni sul messaggio che esportiamo nel mondo dell’arte.
 
È facile sparare a zero su questa che Le Monde definisce “un’esibizione” più che un’esposizione. Qualcosa di salva. I fotografi selezionati da Italo Zannier, ad esempio, testimoniano la vivacità della produzione italiana. Peccato che tutta la sezione fotografica costituisca un’ulteriore ala di questa palazzo del grottesco, e che le foto siano state allestite su una specie di salita senza aria condizionata con il solito criterio ottocentesco che di certo non facilita il visitatore.
 
Da sempre la Biennale di Venezia e i suoi padiglioni sono stati lo specchio non solo artistico ma anche politico del loro tempo. In questi tempi, dove la nostra fama nel mondo è trainata dagli scandali sessuali del nostro premier è triste ma realistico pensare che due novelli Adamo ed Eva in nudo integrale seduti su un trono di spaghetti parlante, opera di Gaetano Pesce (sopra), rappresentino, non solo artisticamente, questa Italietta decadente nella quale stiamo vivendo.



Tags: Alain Elkann, Ascanio Celestini, Biennale Venezia, Chiara Di Stefano, Gaetano Pesce, jannis kounellis, Luciana Litizzetto, Lucio Dalla, Mario Botta, Museo della Mafia, Padiglione Italia, recensione, Stefano Zecchi, Vittorio Sgarbi, vladimir luxuria,
20 Giugno 2011

Oggetto recensito:

L'arte non è cosa Nostra, Padiglione Italia, Arsenale, Venezia

Fino al: 27 novembre
A cura di: Vittorio Sgarbi
Orari: tutti i giorni, dalle 10 alle 18. Chiuso il lunedì
Ingresso Biennale: 20 euro, ridotto 16 euro. I particolari di costi e tariffe qui
Sito ufficiale: www.labiennale.org
Speciale Biennale Venezia/1: Luci e Ombre sulla Biennale

giudizio:



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Media: 7.8 (23 voti)

Commenti

La sola inadeguatezza mi

La sola inadeguatezza mi sembra la sua, ostaggio com'e' di pregiudizi, luoghi comuni, frasi fatte e un disfattismo davvero sconfortante in cui emerge una ostilita' ottusa e ostinata di chi piuttosto che, didatticamente, piuttosto che raccontare, celebra solo un processo.

Chiedo scusa, sorvolando i

Chiedo scusa, sorvolando i Suoi toni pseudo offensivi mi chiedevo: Lei la mostra l'ha vista? Perché é innegabile che le opere siano praticamente una sull'altra e che questo ne impedisca una corretta fruizione. A livello di didattica dunque é una mostra mal concepita. Ma chiaramente é solo il mio giudizio.

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