Pellicola numero 42 per l'ormai ottantenne regista newyorkese: Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni mette insieme un cast stellare (Anthony Hopkins, Naomi Watts, Josh Brolin...) per la solita commedia fra il sentimentale e brillante. La ricetta di sempre, cucinata con gli ingredienti del giorno prima
di Andrea B. Previtera
Che cos’è la noia, che cos’è noioso? Che cos’è che annoia? Ci annoia, certamente, una storia per la quale non proviamo alcun interesse: quella della coltivazione dell’avena nella tradizione transcaucasica, quella della disposizione dei nani da giardino nel corso dei secoli, quella di un incontro di calcio di serie D del 1971. Eppure, anche un racconto intessuto in un argomento più o meno universalmente coinvolgente come l’amore, può annoiare: avete mai cercato di resistere a un bisnonno che vuole a tutti i costi raccontarvi
Da sempre il cinema dell'ottantaduenne maestro inglese traspone sullo schermo i classici letterari. Quella sera dorata, con Anthony Hopkins e Charlotte Gainsbourg, dal raffinato romanzo di Peter Cameron riprende l'eleganza della forma, ma senza centrare la sostanza
di Marinella Doriguzzi Bozzo
James Ivory non è solo un regista. E’ anche una ditta di produzione, la Merchant-Ivory, nonché un connubio indissolubile con la sua sceneggiatrice storica, Ruth Prawer Jhabvala. Ma questo Ivory uno e trino è anche un vorace collezionista, dando al termine quel tanto di viziosamente iterativo che contraddistingue la smania di mettere insieme categorie affini. E cosa colleziona Ivory? Classici letterari da trasporre sullo schermo. In tal senso ha raffinatamente saccheggiato, per esempio, scrittori come Forster (Camera con vista, Maurice, Casa Howard), James (I bostonia
Il licantropo Benicio del Toro e il padre-padrone Anthony Hopkins si affrontano tra atmosfere gotiche e gesta splatter. E' Wolfman di Joe Johnston, un horror che racconta il trionfo dell'istinto sulla ragione
di Marco D'Egidio
Neanche a farlo apposta, in due mesi il cinema ha portato in scena due tesi opposte. Sherlock Holmes, il “fumetto” di Guy Ritchie tutto azione e deduzione, rappresenta la vittoria della ragione positivista sulla superstizione e la magia; al contrario, Wolfman, il remake di Joe Johnston dell’omonimo film del 1941, simboleggia il trionfo dell’istinto sulla civiltà della ragione: come se le leggi che ci impediscono di essere lupi gli uni con gli altri fossero una forzatura della natura umana cui, di tanto in tanto, non si può non trasgredire. Sem