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ritratto di Nicola Campogrande
di Nicola Campogrande

Com'è ruspante Haydn


Ho sempre trovato che nella musica strumentale di Haydn esista una teatralità curiosa, del tutto diversa, per intenderci, da quella mozartiana. Quella di Haydn è legata ad elementi popolari, talvolta ruspanti, che bisogna saper cogliere ed interpretare con un misto di garbo e spregiudicatezza non facile da trovare. Forse anche per questo la sua musica è meno suonata di quanto si dovrebbe e non è raro ascoltarla in letture garbatamente noiose.
Ogni tanto però ci si imbatte in interpreti che fanno balzare sulla sedia perché nel garbo rifinito di una sinfonia o in quella summa di ingegnosità e raffinatezza che sono i suoi quartetti riescono a far venir fuori il teatro, trasformando ogni singolo istante di musica in stupore, in meraviglia.
Fino ad oggi mi ero annotato mentalmente che i Quartetti di Haydn, meglio di tutti, li aveva incisi il Quartetto Emerson, e quando volevo qualche minuto di paradiso mi abbeveravo lì. Ma ora ho ascoltato anche il cd che l'Orchestra da Camera di Mantova, con Carlo Fabiano come primo violino e concertatore, ha appena pubblicato (il cd è allegato ad Amadeus), eposso dire di avere trovato i miei interpreti di riferimento anche per le sinfonie: le tre che il disco ospita, diversissime tra loro, sono accomunate dalla perfezione, dall'equilibrio ma anche dalla verve spudoratamente popolare che a me piace ritrovare. Non perdetele.


Inserito da Nicola Campogrande - 15 gennaio, 2010 - 00:54


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Musica ad occhi chiusi


Ricordo il viso di Stockhausen, al Conservatorio di Parigi, mentre ascoltava alcune registrazioni di noi allievi: i lineamenti distesi, l'aria concentrata, gli occhi rigorosamente chiusi. Mi stupì, perché io non sono mai riuscito ad ascoltare musica ad occhi chiusi e ho sempre pensato che quella fosse una posa, un atteggiamento tardoromantico, l'ostentazione di un contatto con chissà quale invisibile realtà trascendente. Stockhausen comunque ascoltò così, e alla fine reagì ai nostri pezzi con parole sensate, persino preziose. E dunque pensai: ha ascoltato, ha ascoltato davvero.
Oggi, ripensandoci, ho l'impressione che un ascolto senza la visione non possa più esistere. Che, se non guardiamo la fonte sonora dalla quale la musica proviene, non riusciamo nemmeno ad accorgerci che la musica è presente, che ci arriva alle orecchie. Perché abitiamo in un mondo popolato di videoclip, certo. Ma soprattutto perché la musica di sottofondo obbligatoria è talmente diffusa, talmente imprescindibile, che il vivere immersi in una colonna sonora (imposta) è ormai purtroppo la nostra condizione naturale. E dunque, se i nostri occhi non incrociano un musicista, non siamo più in grado di ascoltare, di prestare attenzione a un fenomeno che è destinato alle orecchie ma che ormai passa prima attraverso agli occhi. Se non vedo, insomma, non ascolto. Che follia, non credete?


Inserito da Nicola Campogrande - 3 gennaio, 2010 - 23:43


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Musica che avvelena


Quando ero bambino c’era una Pubblicità Progresso che diceva: “Chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere”. Sono passati trentacinque anni e leggo che ora a New York la maggioranza degli inquilini sarebbe disposta a pagare un affitto più caro pur di abitare non solo in un appartamento ma in un palazzo smoke-free. Cioè in un luogo nel quale una passione individuale va ricondotta a questione personale; se tocca la vita di altri, anche solo con tracce sospese nell’androne, con sospetti di odori nell’ascensore, con rischi di contaminazioni tra finestre contigue, non è gradita. Quando invece l’altro giorno in treno ho chiesto a una signora seduta a cinque metri da me di abbassare il volume del suo lettore mp3, lei mi ha guardato come un marziano. Ho provato a spiegarle che le sue cuffiette non diffondevano musica soltanto nelle sue orecchie ma anche nell’ambiente circostante, le ho fatto gentilmente notare che io non volevo ascoltare ciò che usciva dal suo walkman, e lei si è offesa, comunicando ai vicini di posto che non le era mai successa una cosa simile, che io non mi potevo permettere, che la libertà del singolo (!) eccetera.
 
Ora, io ho un udito sensibile, faccio il compositore, presto attenzione ai suoni e tutto quello che volete, ma perché mai devo essere obbligato ad ascoltare gli scarti di ciò che un altro sta sentendo? Perché il mio viaggio in treno, la mia attesa sulla banchina della metropolitana, la mia coda alle poste devono essere accompagnati dalle frequenze acute – quelle che sfuggono più facilmente dalle cuffie – di una musica che non voglio ascoltare? La musica è una cosa importante: suggerisce emozioni, dà forma alle idee, fa muovere i piedi; è un tassello determinante della nostra esperienza del mondo, tanto che la cerchiamo, la compriamo, la scarichiamo dalla rete; sottoporsi all’ascolto, insomma, non è un fatto neutrale: è una cosa grossa. E allora perché mi si deve obbligare a sentire i residui della musica che un altro ha scelto per sé?
Forse un giorno anche per gli ascoltatori vagabondi inventeranno delle cuffiette chiuse, come quelle enormi che usano i fonici negli studi. Fino a quel momento, però, non pensate che sarebbe civile e bello pensare a chi ci sta intorno? “Chi ascolta a volume alto fa ascoltare anche te. Digli di smettere”.


Inserito da Nicola Campogrande - 23 novembre, 2009 - 15:43